Fondazione Locavori: a causa delle cattive abitudini alimentari le prime generazioni della nostra storia in cui i figli hanno un’aspettativa di vita in buona salute inferiore a quella dei genitori
SOMMARIO:
Un cittadino su tre soffre di una malattia cronica non trasmissibile ogni famiglia è quindi potenzialmente sensibile al problema “cibo e salute”, senza parlare di quelle in cui sono presenti bambini, che rappresentano il circa il 43% del totale;
NECESSARI SUBITO INTERVENTI DIETETICI STABILI E DI LUNGO PERIODO: L’informazione e la formazione del cittadino/consumatore costituiscono il secondo valore aggiunto al prodotto, dopo la qualità nelle sue declinazioni; e l’azione informativa e formativa deve essere costante e durare nel tempo, allo scopo di tenere viva l’attenzione del cittadino su ciò che mangia, e di orientarlo verso un consumo gradevole e non di tipo “terapeutico” o “modaiolo”;
INTERVENTI CONCRETI SUL TERRITORIO GESTITI IN ACCORDO TRA CENTRI DI RICERCA, AMMINISTRAZIONI LOCALI, SOCIETÀ SPORTIVE, FARMACIE, HANNO GIÀ DATO RISULTATI MOLTO PROMETTENTI:
Anche in Italia l’abbandono della dieta mediterranea ha come conseguenza il dilagare delle malattie croniche non trasmissibili, e la drastica riduzione dell’aspettativa di vita in buona salute a partire dai bambini nati nel 2003 (da 74 a 61 anni nelle femmine, da 71 a 62 anni nei maschi in soli 5 anni). In poche parole quelle degi attuali giovani sono le prime generazioni della nostra storia in cui i figli hanno un aspettativa di vita in buona salute inferiore a quella dei genitori.
PROGETTO DI RICERCA PER L’ATTUAZIONE TERRITORIALE DELLA PREVENZIONE PRIMARIA DELLE MALATTIE CRONICHE NON TRASMISSIBILI
PRESUPPOSTI SCIENTIFICI
In Italia è stata praticamente abbandonata la Dieta Mediterranea, una delle poche di cui siano stati ampiamente dimostrati gli effetti protettivi nei confronti delle malattie croniche non trasmissibili (diabete, malattie cardio-circolatorie – tra cui ictus e infarto -, tumori, malattie neuro-degenerative – tra cui morbo di Alzheimer, di Parkinson, demenza senile). Il suo repentino abbandono a vantaggio della cosiddetta “dieta occidentale”, è causato dalla pressione mediatica e dai nuovi imprinting alimentari ricevuti dalla famiglia in età precoce.
“L’essere umano è perfettamente adattato ai regimi alimentari più diversi, con l’unica eccezione della dieta occidentale” (Michael Pollan – In difesa del cibo).
La malnutrizione è uno stato metabolico che consegue a un difetto di nutrizione prolungato nel tempo sia per difetto sia per eccesso. Le persone “malnutrite”, oltre ad ammalarsi più facilmente, guariscono meno e più lentamente. Nei Paesi industrializzati la malnutrizione è generalmente conseguenza di diete non idonee, ridotta assunzione di micronutrienti (principalmente di molecole che agiscono in senso positivo sul metabolismo e presenti nei prodotti naturali), e dall’introduzione di sostanze che interferiscono negativamente sul metabolismo inducendo stress ossidativo e infiammazione (tra cui i pesticidi di sintesi, ampiamente utilizzati nell’agricoltura intensiva ed altri inquinanti ambientali). I dati epidemiologici e clinici portano a concludere che almeno il 30 – 45% della popolazione italiana (il 60% di quella americana) abbia una situazione metabolica con un livello elevato di infiammazione e stress ossidativo, indotti da uno stato di cattiva nutrizione. La ricerca medica ha individuato con chiarezza i fattori alimentari che concorrono alla diffusione delle malattie croniche non trasmissibili.
L’infiammazione e lo stress ossidativo determinano danni strutturali e funzionali con meccanismi genetici ma, soprattutto, con quelli epigenetici, cioè alterando la corretta espressione dei geni.
Queste modificazioni sono conservate quando le cellule si dividono e, tramite le cellule germinali, posso essere ereditate almeno dalla generazione successiva. Nessun alimento che rispetti i requisiti di legge, è completamente buono o cattivo: ognuno porta fattori positivi e negativi ma è il complesso della dieta che, dopo 10 o 20 anni, gestazione compresa, esita in uno stato di salute o malattia, proprio in conseguenza delle modificazioni epigenetiche da questa indotte.
“Essere in buona salute significa essere in grado di godere appieno del tempo a nostra disposizione. Significa essere al massimo dell’operatività per tutto l’arco della vita ed evitare lunghe e dolorose battaglie invalidanti con la malattia: ci sono parecchi modi più auspicabili di morire e di vivere” (Campbell et al. – The China Study).
Anche in Italia l’abbandono della dieta mediterranea ha come conseguenza il dilagare delle malattie croniche non trasmissibili e la drastica riduzione dell’aspettativa di vita in buona salute a partire dai bambini nati nel 2003 (da 74 a 61 anni nelle femmine, da 71 a 62 anni nei maschi in soli 5anni).
In poche parole quelle degli attuali giovani sono le prime generazioni della nostra storia in cui i figli hanno un’aspettativa di vita in buona salute inferiore a quella dei genitori. Oltre alla qualità di vita individuale e familiare ciò comporterà, insieme all’invecchiamento della popolazione, costi sociali e sanitari insostenibili e per questo sono necessari interventi dietetici stabili e di lungo periodo.
“[…] le cardiopatie, i tumori, il diabete, l’ictus, l’ipertensione, l’artrite, la cataratta, il morbo di Alzheimer, l’impotenza e ogni altro tipo di malattie croniche possono essere ampiamente prevenuti… […]. Inoltre abbiamo ora prove cogenti a dimostrazione che la cardiopatia avanzata, i tumori di determinati tipi in uno stadio relativamente avanzato, il diabete e alcune altre malattie degenerative possono essere fatti regredire mediante la dieta […] Si può affermare che la vitamina C, il beta-carotene e le fibre alimentari siano i soli responsabili della prevenzione di questi tipi di cancro? La risposta è no. Il trionfo della salute non risiede nelle singole sostanze nutritive, ma nei cibi naturali che contengono quelle sostanze: i cibi di origine vegetale. In una ciotola di insalata di spinaci, per esempio, abbiamo fibre, antiossidanti e innumerevoli altre sostanze nutritive che orchestrano una meravigliosa sinfonia di salute perché lavorano di concerto nel nostro organismo.” (Campbell et al. – The China Study).
I cibi non sono la semplice somma dei loro componenti, ma per capirne gli effetti sull’organismo vivente, occorre guardare oltre la loro composizione chimica. Per la prevenzione delle malattie cronico degenerative sono necessari alimenti con una maggiore qualità sanitaria (riduzione delle sostanze che costituiscono il multi residuo tra cui i pesticidi); funzionale (presenza sinergica di sostanze protettive), e diete più adeguate alla nostra genetica seguite per lunghi periodi della vita.
Affinché ciò accada è necessario migliorare anche la qualità organolettica delle materie prime e delle pietanze, rendere gli alimenti facilmente reperibili ed economicamente sostenibili dalle famiglie, rendere disponibili metodi di preparazione dei cibi che siano gradevoli, soprattutto ai bambini, ma poco impegnative in termini di tempo e costo, e che mantengano o migliorino la qualità sanitaria e funzionale delle materie prime.
Mettere al centro la salute delle persone configura una nuova visione del cibo, degli alimenti e del modo in cui produrli e distribuirli. Questa visione innovativa, se realizzata e tutelata nella pratica quotidiana, comporta: – benefici alla speranza di vita in buona salute; – un allargamento della presenza in ambito lavorativo; – un alleggerimento delle problematiche familiari; – ha conseguenze sociali determinanti ed effetti positivi sull’intera filiera agroalimentare del territorio, compresi quelli di ordine etico, ambientale ed economico. Inoltre riduce la pressione sul sistema sanitario preposto, anche in ambito ospedaliero.
È quindi la dieta nel suo complesso, che, nel medio-lungo periodo, permette di prevenire e contrastare l’evoluzione delle malattie croniche non trasmissibili. La scarsa attenzione che si presta al cibo, e l’abitudine a pretendere effetti immediati (sperando che possano essere la risultanza dell’uso di farmaci e integratori), tipica dei cittadini delle società occidentali, assume maggiore gravità quando coinvolge i bambini. La dimostrazione che al cibo non è data più l’importanza che merita, risiede nella scomparsa del passaggio generazionale della cultura del cibo: le mamme non insegnano più alle figlie a scegliere i cibi e a cucinarli e con un salto generazionale si perde ogni rapporto non solo con la cultura del cibo, ma, anche e soprattutto, con la campagna e i suoi sistemi di produzione.
Poiché l’aspettativa di vita in buona salute alla nascita inizia a diminuire a partire dal 2003, e l’età media al primo parto delle italiane era nel 2004 di 30,8 anni, si può ipotizzare che l’interruzione del passaggio culturale abbia avuto inizio con le nate negli anni ’70. La conseguenza è la diffusione di cibi in cui prevale la presenza di fattori altamente coinvolti nell’indurre le malattie cronico degenerative. Grassi, carboidrati e sale, diete con un elevato contenuto calorico, additivi ed esaltatori di sapore, conservanti, sono sistematicamente presenti nelle formulazioni di cibi industriali, artificialmente molto gradevoli, che spingono a comportamenti di dipendenza. Lo conferma uno studio statunitense (Scripps Research Institute in Florida) pubblicato su Nature Neuroscience: il cibo spazzatura è quello che stimola di più i neuroni della gratificazione. Dopo un mese e mezzo di dieta a base di bacon, salsicce, torte e cioccolato i topi si comportano come veri e propri drogati, e neanche una scossa elettrica alla zampa riesce a tenerli lontani dalla vaschetta del cibo. I topi, dopo 40 giorni di libertà alimentare sfrenata, diventano obesi, e nel cervello il sistema della gratificazione è diventato più pigro: ogni giorno hanno bisogno di una maggior quantità di stimoli piacevoli, ottenuti aumentando in continuazione le porzioni di junk food, nonostante la scossa elettrica.
Nei bambini il “cibo spazzatura” induce un imprinting alimentare sbagliato, che li condizionerà per tutta la vita. I bambini sono particolarmente sensibili a dolce, grasso e salato, e hanno forte repulsione per amaro e astringente, per cui è difficile far loro accettare le verdure (polifenoli, flavonoidi, terpeni sono amari), mentre l’avversione verso amaro e astringente diminuisce con l’età, ma anche con l’educazione al gusto, in virtù dell’esposizione ad alimenti con caratteristiche organolettiche correlate a molecole funzionali salubri.
In quest’ottica è facilmente comprensibile l’importanza della qualità organolettica (colore, fragranza, sapore, consistenza) di un cibo. Un cibo può avere tutte le migliori caratteristiche nutrizionali, ma se non è gradito non rimarrà a lungo nel regime dietetico di una persona. Pertanto è determinante che gli ingredienti e i cibi preparati siano gradevoli e apprezzati, ma contemporaneamente diventa imperativo non perderne le caratteristiche nutrizionali, sanitarie e funzionali. Con lo scopo di coniugare la qualità organolettica delle preparazioni alimentari con quella nutrizionale, sanitaria e funzionale, è determinante allargare l’ambito della ricerca anche alle preparazioni alimentari più indicate, come già sta facendo la Fondazione IRCCS (Istituto Italiano Tumori), nell’ambito del progetto europeo DIANA (studio sull’influenza dell’alimentazione sul carcinoma mammario).
PRESUPPOSTI SOCIALI
L’epidemiologia dimostra che un cittadino su tre soffre di una malattia cronica non trasmissibile e questo rende in pratica ogni famiglia potenzialmente sensibile al problema “cibo e salute”, senza parlare di quelle in cui sono presenti bambini, che rappresentano il circa il 43% del totale. Quindi è sui nuclei famigliari con bambini e su quelli che hanno già subito una di queste malattie o le sue avvisaglie (sovrappeso, ipertensione, ipertrigliceridemia, ipercolesterolemia, alte VLDL e basse HDL, elevata glicemia, o l’insieme di queste alterazioni denominato “sindrome metabolica”), su cui concentrare un’attività coordinata e organica d’informazione e formazione circa il rapporto tra alimenti e salute, e attuare programmi di affiancamento alimentare per le famiglie.
Le attività istituzionali finora intraprese nelle mense e nelle scuole non hanno prodotto effetti significativi e duraturi, tant’è che il Ministero stesso ammette che l’obiettivo perseguito da anni non era stato raggiunto nel 2010, quando l’Istituto Superiore di Sanità ha organizzato un convegno sull’argomento “Globalizzazione e malattie croniche, dall’evidenza scientifica alla cura dell’uomo: un passo impossibile?”, indotto dalla constatazione, dichiarate dallo stesso istituto, che: “Per quanti sforzi si facciano è evidente la difficoltà della medicina moderna nel trasformare quanto le linee guida indicano in comportamenti pratici per i pazienti: sembra che l’evidenza scientifica sia inconciliabile con la vita quotidiana”.
Evidentemente l’azione informativa e formativa deve essere costante e durare nel tempo, allo scopo di tenere viva l’attenzione del cittadino sul ciò che mangia e di orientarlo verso un consumo gradevole e non di tipo “terapeutico”.
Occorre quindi un’azione con cui stimolare la crescita della conoscenza e della consapevolezza, che riporti il cibo al centro delle attenzioni della vita quotidiana. Un approccio che deve trovare il suo spazio in uno stile di vita moderno, senza urtare contro la mancanza cronica di tempo e le difficoltà economiche, mediante il quale la famiglia torna a occuparsi della salute e del piacere dei propri congiunti attraverso il cibo, magari condividendone con loro la preparazione e la conoscenza.
L’attività di informazione e formazione, non dovrebbe essere effettuata in prima persona dai produttori, altrimenti auto referenziati, ma da strutture terze autorevoli. Il valore qualitativo di un prodotto, anche se presente in origine, viene perso se l’informazione su di esso, sulle sue caratteristiche qualitative anche nutrizionali, non arriva al consumatore finale. Cercare gli alimenti giusti, procurarseli, prepararli e cuocerli in casa, si scontra tremendamente con gli stili di vita attuali. Rivolgersi alle tradizioni antiche dà momentanee emozioni, che si spengono nelle lunghe e complesse preparazioni.
Per questo occorre dare alle famiglie informazioni su come gestire i cibi e come cuocerli, con ricette la cui preparazione possa conservare il più possibile o valorizzare le proprietà nutrizionali degli ingredienti, tenendo presente che il tempo da dedicare alla loro preparazione deve essere ridotto al minimo e, contemporaneamente, dare la massima soddisfazione edonistica. L’informazione e la formazione del cittadino/consumatore costituiscono il secondo valore aggiunto al prodotto, dopo la qualità nelle sue declinazioni.
“L’incremento e la globalizzazione dei consumi mondiali ha favorito alcuni fenomeni negativi, quali l’aumento dei nitriti nei vegetali, dei metalli pesanti nell’acqua di irrigazione e nei concimi, l’uso di pesticidi, le lunghe catene alimentari, le lunghe conservazioni e i trasporti su ruote (e su nave), l’abuso di sostanze conservanti e la presenza di contaminanti e infine la perdita delle colture tradizionali. E’ comunque difficile accettare l’ipotesi che le grandi innovazioni realizzate negli ultimi 150 anni in campo agro-alimentare, possano avere influito in modo sensibile sul patrimonio genetico umano. E’ evidente quindi che noi siamo tuttora in gran parte “programmati” verso gli alimenti tipici dei nostri progenitori, e i cambiamenti delle abitudini alimentari si sono accompagnati a un forte aumento delle patologie neuro-cronico-degenerative, legate a errori ed eccessi dietetici” (da “Alimentazione, clima ed evoluzione dell’uomo” – Leone Arsenio, La Feltrinelli).
Non vi sono più gli elementi ambientali per tornare all’alimentazione del “paleolitico”, né riproporre nella società moderna la dieta del “periodo agricolo”, troppo ricca in cereali, ma non possiamo ulteriormente protrarre la dieta “industriale” perché troppo ricca in calorie, grassi saturi e trans, e povera in contenuti “funzionali”.
Ma il peggio deve ancora venire. L’imprinting inserisce nel comportamento alimentare del bambino ciò che anche in seguito deve essere riconosciuto buono e conveniente oppure cattivo e sconveniente. Attraverso l’imprinting il bambino subisce un importante orientamento, condizionamento ed educazione del gusto, che non lo lascerà per tutto il resto della vita e non sarà facile da modificare. “Il balzo tecnologico, la prepotente pubblicità mediatica, i cibi pronti, hanno stanno rapidamente svalutando il buonsenso della tradizione e fanno perdere il controllo della qualità e del buon uso degli alimenti. In famiglia si dedica sempre meno tempo alla preparazione di cibi, e sempre più massiccia è la presenza di cibi che soddisfano il gusto dei bambini, sostituendo i sapori e gli odori evocativi dei piatti della festa” (introduzione al libro “Alimentazione e patologia alimentare Darwiniana” – G.Ballarini, ed. Mattioli).
PRESUPPOSTI APPLICATIVI
Le ricerche mettono in luce che la comunicazione medico-paziente è spesso insoddisfacente e frustrante per entrambi, sia sul piano verbale che su quello non verbale. Qualsiasi paziente vorrebbe trovare nel proprio medico curante una versione del vecchio, caro medico di famiglia, come ormai ce lo tramanda solo la tradizione popolare: uno specialista esperto e scrupoloso, ma, prima di tutto, un uomo caloroso, amichevole, e anche fine psicologo. Si tratta di una figura mitica, e forse anche il medico mosso dalle migliori intenzioni non riuscirebbe a emularne le capacità e l’umanità.
Il problema è che l’attuale rapporto medico paziente si risolve spesso in una visita sbrigativa, spersonalizzata ed insoddisfacente per il paziente, che si sente non capito, e per il medico, che vede i suoi sforzi terapeutici vanificati dalla mancanza di collaborazione da parte dell’assistito.
Peraltro, anche l’intervento terapeutico risente di una comunicazione lacunosa o carente. Si pensi ad esempio al caso delle malattie croniche come il diabete, i problemi cardiaci o l’ipertensione: in queste situazioni la componente emotiva è considerevole, e va dalla non accettazione del problema, alla ribellione nei confronti della prescrizione, all’omissione o alla menzogna per coprire le proprie mancanze.
Anche un dialogo più profondo e aperto va a vantaggio dell’efficacia della cura: se i pazienti sono informati e coinvolti nelle decisioni riguardo ai provvedimenti da prendere, si rivelano più aderenti alle prescrizioni e più collaborativi, accettano più di buon grado l’idea di abbandonare abitudini dannose come il fumo, l’assunzione di alcolici, e quella di assumere condotte di vita più salutari (fare regolare esercizio fisico, limitarsi nella dieta, eccetera). Anche se, talora, l’aver avuto un buon confronto col medico oggi non è sufficiente, in quanto la cattiva informazione mediatica, o quella relazionale possono spingere il paziente a modificare o interrompere un percorso terapeutico o coadiuvante senza che il medico ne sia messo a conoscenza.
A riguardo dei medici di base si registra invece una preparazione sommaria in campo alimentare, e una quasi assente conoscenza degli alimenti e dei relativi metodi di conservazione e preparazione. In modo particolare, salvo eccezioni, le qualità sanitarie e funzionali sono quasi sempre ignorate.
Il medico di famiglia non riesce quindi a dirigere il paziente verso comportamenti alimentari utili alla prevenzione primaria, né a utilizzare la dieta come elemento coadiuvante la terapia. Ne è testimone uno studio tedesco (Pirlicha M, 2006) che mostra come si possono ridurre del 43% le giornate di degenza media dei ricoverati curando adeguatamente l’alimentazione dei degenti.
Per quanto riguarda le attività dei medici delle Ulss finalizzate alle mense e all’educazione alimentare nelle scuole, vi sono limiti posti dall’applicazione stessa della legislazione vigente. Quest’ultima non ha la stessa velocità di aggiornamento delle conoscenze scientifiche, che oggi risultano talora addirittura contraddittorie, come conseguenza di una ricerca dal forte connotato meccanicistico o riduzionista.
Una visione olistica dell’alimentazione non può comunque essere tradotta in decreti legge (spesso frutto di pressioni di lobby economiche), per cui l’intervento dei medici delle Ulss è e rimarrà “spuntato”. Infatti non è lecito pretendere che l’attività di questi ultimi assuma i contenuti e le caratteristiche di un’opinione personale, mettendone a rischio la posizione lavorativa.
PRESUPPOSTI OPERATIVI
Nelle farmacie italiane è ormai ampiamente diffuso l’utilizzo di strumenti per l’autoanalsi di parametri ematici. Con questi il cliente può controllare la glicemia, il colesterolo, la pressione, e diversi altri valori. A oggi queste analisi sono meramente un servizio effettuato dalla farmacia, e i dati generalmente non vengono registrati, e, tantomeno, elaborati.
Nel 2012 la Farmacia di Bucine ha avviato con successo un’attività diagnostica gratuita, di ausilio e in affiancamento con i medici di base e gli specialisti operanti nel territorio. La creazione di un database e di un software gestionale specifico, hanno reso evidenti i vantaggi di tale sistema, consistenti nella possibilità di evidenziare con maggiore anticipo l’insorgenza di patologie, rispetto a quanto accade normalmente con il consueto rapporto paziente, medico di base e strutture ospedaliere territoriali.
Nel 2013 le conclusioni del convegno “Influenza degli stili di vita sulle malattie croniche non trasmissibili: aspetti epidemiologici, medici ed economico-sociali”, in cui la Fondazione Via dei Locavori – Onlus (v. anche articolo a latere) ha presentato una relazione sull’alimentazione, hanno ribadito la necessità di un approccio interdisciplinare, guidato dal medico di base coadiuvato da più specialisti, quali lo psicologo, e il dietologo. Le competenze acquisite rendono la Fondazione Via dei Locavori un interlocutore specializzato sulla qualità funzionale degli alimenti e delle diete.
Infatti “La scienza degli alimenti, oggi, si trova al centro di un ciclone scientifico, che coinvolge una grande varietà di discipline, dalla fisica e dalla chimica, dalla matematica e dalla statistica, alla biologia, alla genetica, alla medicina, alla microbiologia, all’agricoltura, alle scienze tecnologiche e ambientali e persino a scienze cognitive come l’analisi organolettica, l’analisi dei consumatori, la psicologia ed altre discipline sociali come l’economia” (L. Munck) per cui La Fondazione Via dei Locavori ha tra le sue finalità quella di creare un sistema integrato di qualità e salute che parta dai produttori con un forte legame al territorio o alla tradizione e arrivi al consumatore finale, facendo informazione scientifica, culturale, formazione, attivando attività didattiche, con un sostegno scientifico interdisciplinare di alto livello che integri le competenze agronomiche con quelle mediche.
L’attività di ricerca della Fondazione si basa sull’impiego di tecnologie ad elevato rendimento, quali risonanza magnetica, microscopia elettronica, biologia molecolare, le quali permettono di incrementare il patrimonio di conoscenze, di promuovere uno stile di vita e delle abitudini alimentari mirate alla salvaguardia della salute, dell’ambiente e di stimolare nel tempo la consapevolezza delle persone mettendo la ricerca scientifica a disposizione di tutti.
L’obiettivo dell’azione coordinata dalla Fondazione Via dei Locavori presso la Farmacia di Bucine consiste, per esempio, nell’attuare una vera e propria azione di prevenzione delle malattie cronico degenerative attraverso una corretta alimentazione e uno stile di vita adeguato, mediante un approccio ricombinato tra riduzionismo e visione olistica della persona, operando comunque in stretto rapporto con i medici del territorio.
OBIETTIVI DEL PROGETTO DI RICERCA
Il progetto si ispira al “Framingham Heart Study” con l’obiettivo di individuare un approccio pratico per la prevenzione primaria delle malattie croniche non trasmissibili attraverso l’alimentazione. Ciò può avvenire quando i pazienti e i cittadini assimilano completamente un regime dietetico basato sullo stile della Dieta Mediterranea (opportunamente personalizzata), in modo che questa faccia parte del proprio stile di vita e non di un periodo di terapia. Per questo motivo le persone devono essere seguite “a tutto tondo”, e con misurazioni oggettive dei loro progressi o delle loro difficoltà.
A questo scopo i punti di riferimento sul territorio ideali della sperimentazione sono le farmacie, con il loro personale e le loro attrezzature, e la Fondazione Via del Locavori Onlus con i propri esperti per il coordinamento delle attività.
AZIONI
ATTIVITA’/FASI
Le attività del progetto di ricerca sono suddivise per fasi:
1) FASE DI PREPARAZIONE
Saranno contattati gli enti di aggregazione ove sono già spontaneamente presenti persone con una certa sensibilità al problema cibo e salute (famiglie con figli piccoli o giovani, sportivi, persone di circa 40 anni fino agli anziani). Saranno quindi contattate le scuole dell’infanzia, di educazione primaria e secondaria, le associazioni sportive, le associazioni a sfondo sociale presenti sul territorio. Saranno cercati esperti di cucina o chef disposti ad effettuare incontri di educazione alimentare e scuola di cucina. Saranno individuati i locali e le attrezzature necessari per effettuare gli incontri di teoria e pratica. Saranno individuate le aziende agricole e i distributori di prodotti locali. Utilizzando i database delle Farmacie, incrociando i risultati delle analisi effettuate presso le stesse e i comportamenti d’acquisto dei medicinali, saranno individuati gruppi con profili omogenei (cluster) sui quali pianificare interventi “su misura”.
La pianificazione consiste nella definizione dei contenuti e delle fasi di informazione, formazione e assistenza da somministrare a ciascun gruppo. In particolare saranno pianificate le azioni che riguarderanno gli stessi interessati, le loro famiglie e le altre persone con cui interagiscono. Un riferimento certo sono gli alunni delle scuole e le persone associate ad organizzazioni sportive del territorio.
2) FASE DI SENSIBILIZZAZIONE E INFORMAZIONE
Saranno pianificati interventi che prevedono prima di tutto incontri nelle scuole o con gli enti individuati. I gruppi con profili omogenei saranno organizzati contattando direttamente le singole persone e riunendole presso locali idonei. Nel caso di bambini o ragazzi si pianificheranno incontri successivi con i genitori. L’obiettivo di questa fase è il reclutamento per l’attuazione del progetto di ricerca e dei percorsi di formazione. Ai volontari saranno illustrati gli obiettivi, le attività e le modalità operative cui parteciperanno.
3) FASE DI FORMAZIONE
Saranno effettuati incontri di preparazione allo scopo di far percepire l’importanza dell’alimentazione e del movimento sul benessere e sulla prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili. Gli argomenti di riferimento saranno i seguenti: a) malattie croniche non trasmissibili, epidemiologia e cause, la dieta mediterranea; b) biologico, DOC, IGP, ecc., la qualità certificata e le qualità per la prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili; c) lungo la filiera agro alimentare fino alla lettura delle etichette e i prezzi; d) pianificare la spesa settimanale e la preparazione per la cucina veloce; e) esaltare le qualità dei cibi per il gusto e la salute; f) la qualità etico-sociale del cibo, lo stile di vita e la prevenzione primaria; g) frutta, verdura e contorni per ogni stagione; h) cereali e derivati; i) latte e derivati, carni, uova e legumi; j) dolci e fine pasto.
Ciascun incontro si divide in due parti: teorica e pratica per un totale di 3 ore circa. Lo svolgimento generale sarà circa di 1/2-1 ora di teoria e 1-2 ore di pratica. La lezione pratica sarà finalizzata a concretizzare con semplicità (piatti poco elaborati) quanto illustrato nella parte teorica, e per questo sarà concordata in anticipo con chi si occuperà di effettuare la parte pratica. La parte pratica vedrà il coinvolgimento di più entità territoriali quali ristoranti, bar, locali di somministrazione, aziende della filiera agro alimentare, agriturismi o imprese di produzione e trasformazione, ma anche associazioni ed altri enti interessati ad approfondire gli argomenti o a organizzare eventi inerenti gli argomenti di seguito illustrati.
L’insieme degli incontri, nell’ordine proposto, rappresenta un percorso educativo che fornisce alle famiglie e a singole persone, le informazioni teoriche e le conoscenze pratiche necessarie a fare delle scelte alimentati consapevoli per attuare la prevenzione primaria delle malattie croniche non trasmissibili e svolgere il programma sperimentale del progetto.
4) FASE DI RILEVAMENTO
Ai volontari partecipanti al progetto sarà somministrato il diario alimentare settimanale prima di procedere alla Fase di Formazione. Sempre su base volontaria e prima di procedere alla somministrazione del punto g) della fase di formazione, i partecipanti al progetto di ricerca saranno aiutati nelle autoanalisi con il rilevamento dei seguenti dati: genere, età, altezza, peso e calcolo dell’indice di massa corporea, esame plicometrico, diario alimentare dei tre giorni precedenti, misurazione della forza delle mani, spirometria, misurazione della pressione arteriosa, frequenza cardiaca, autotest del sangue capillare (glicemia, colesterolo totale, colesterolo LDL, colesterolo HDL, trigliceridi, ematocrito, emoglobina glicata, eritrociti, barriera antiossidante/radicali liberi), autotest delle urine (bilirubina, urobilinogeno, corpi chetonici, acido ascorbico, glucosio, proteine, sangue, pH, nitriti, leucociti).
I partecipanti ripeteranno le suddette rilevazioni con cadenza mensile, compreso il diario alimentare settimanale. I gruppi di volontari saranno suddivisi nel tempo e seguiti, sempre come gruppo, per i tre mesi successivi. Per le famiglie con figli l’inizio del programma sarà stabilito di conseguenza alle necessità scolastiche. Al termine del programma il team di ricerca sarà comunque disponibile a seguire le singole persone sia dal punto di vista delle autoanalisi sia per un programma di formazione permanente. Tutte queste attività saranno effettuate in collegamento continuo con i medici di famiglia.
5) FASE DI ELABORAZIONE DATI
I dati ottenuti saranno elaborati e sottoposti ad analisi statistiche in modo anonimo e riservato. I dati relativi alla singola persona saranno forniti all’interessato e al medico di base, comparati con le medie ottenute. I risultati della ricerca saranno proposti per una o più pubblicazioni su riviste scientifiche. I dati ottenuti permetteranno di ipotizzare eventuali modifiche al programma al fine di rendere più efficace l’attività formativa allo scopo di reintrodurre nelle abitudini alimentari delle persone partecipanti la dieta mediterranea.
TEMPI DI REALIZZAZIONE
La durata prevista complessiva del progetto di ricerca è di tre anni. Durante questo periodo di tempo è possibile verificare se gli eventuali miglioramenti delle abitudini alimentari hanno assunto un carattere di stabilità.
RISULTATI ATTESI
Sulla base dei dati ISTAT sugli acquisti di prodotti alimentari da parte degli italiani si stima che soltanto il 10% circa della popolazione mangi secondo i dettami della Dieta Mediterranea. Sottoponendo i dati a una appropriata analisi statistica, come risultato atteso, si può predire il miglioramento statisticamente significativo dei parametri di autoanalisi, nei volontari che presentano delle alterazioni in fase iniziale. Ciò indicherebbe che l’insieme dei volontari arruolati ha migliorato in modo significativo la propria condizione di salute (così come è già avvenuto in modo molto significativo nell’esperienza di ricerca condotta in collaborazione con la Farmacia di Bucine). Per quanto riguarda le persone con dati di autoanalisi nella norma, l’eventuale miglioramento e la sua stabilità, possono essere verificati mediante il confronto dei diari alimentari.
DIFFICOLTÁ E CRITICITÁ
Le difficoltà maggiori riguardano l’organizzazione del programma di ricerca, poiché in esso sono coinvolte molte persone ed entità con obiettivi ed interessi talora contrastanti. La difficoltà consiste nel mantenere i partecipanti e i volontari concentrati sulle attività programmate per tutto il periodo della sperimentazione. Pur essendo tutta su base volontaria e anonima, potrebbero emergere problematiche di ordine burocratico e formali che possono rischiare di rallentare le attività. Il programma di ricerca necessita di una visione di tipo olistico, mentre una visione di tipo meccanicistico, riduzionista in termini medici “centrata sull’organo” può far perdere tale visione. Altre difficoltà prevedibili sono legate alla logistica delle materie prime, al loro costo che dovrebbe essere tale da non richiedere, nel complesso, un maggiore esborso da parte dei volontari.