FRAGILITA’ GLOBALE E URGENZA DI INTERVENTI IN VENETO
Il 27 gennaio e il 24 febbraio presso il Circolo Wingwam di Arzerello di Piove di Sacco si è fatto il punto sulla salute del territorio veneto e sulle necessità di monitoraggio, studio, e intervento maggiormente urgenti in merito alla salvaguardia dei territori montani, e dellerisorgive
LO STATUS QUO DELLE MONTAGNE VENETE
L’approccio One Health (OMS) – si veda l’immagine in apertura di questo articolo – rivela oramai inequivocabilmente che anche a livello istituzionale sia indispensabile instaurare il pensiero sistemico alla base di qualsiasi progetto mirato a interventi sul territorio: la salute dell’uomo è strutturalmente dipendente dallo stato di salute dell’ecosistema globale, ma, soprattutto di quello del territorio locale, espresso dalla biodiversità vegetale e animale. Per non dire che nel sistema One Health altrettanto connessa e interdipendente con l’ambiente naturale e quello antropico è ovviamente anche la “salute sociale”, la quale, evidentemente, viene favorita da quegli spazi abitativi e ricreativi artificiali e naturali che sono sapientemente progettati manutenuti tenedo conto delle fondamentali caratteristiche della natura dell’uomo e del’ammbiente.
One Health |
• l’80% degli italiani non ha mai sentito questo termine; • il 56% non sa darne una definizione |
• l’85% degli italiani è d’accordo sul fatto che la salute umana, la salute animale e quella dell’ecosistema siano interconnesse |
• oltre il 60% degli italiani dichiara che per tutelare la salute dell’uomo è fondamentale che anche l’ambiente sia in buona salute |
• 67% degli intervistati sottolinea l’urgenza della lotta ai cambiamenti climatici |
• 91% dichiara che è fondamentale intervenire a tutela della biodiversità |
https://www.federchimica.it/webmagazine/dettaglio-news/2021/04/29/
one-health-e-zoonosi-comprendere-le-cause-della-pandemia-
per-ipotizzare-soluzioni
Adottare il pensiero sistemico significa abbandonare definitivamente la scansione in categorie degli studi disciplinari: non ci si può ormai più permettere di pensare a costruire neanche un ponte come se fosse indifferente la natura del luogo dove l’opera dovrà essere edificata, o di dimenticarsi di monitorare una risorgiva. Prima o poi sul territorio ci si troverà a dover fare i conti con conseguenze negative che assolutamente non ci si può più dare il lusso di trascurare.
L’allarme che sta arrivando da troppi anni dal dissesto climatico globale, e da quello idrogeologico ormai praticamente ubiquitario, dimostrando inequivocabilmente che l’architetto deve diventare anche un po’ botanico e zoologo, e non soltanto antropologo e sociologo; senza contare quanto devono fare anche i geologi e gli ingegneri, a cominciare da quelli idraulici.
“Ma vanno combattuti anche falsi miti – rileva Laura Secco, professoressa ordinaria presso il Dipartimento Territorio e Sistemi agro-forestali dell’Università di Padova – a causa dei quali troppe persone, convinte di propugnare un pensiero ecologico puro, sostengono che nelle aree di territorio che vengono abbandonate a causa della contrazione demografica che interessa le montagne, gli interventi dell’uomo, anche se orientati al corretto monitoraggio e mantenimento degli ecosistemi non debbano più arrivare”.
Intanto bisogna dire che non è oggi corretto parlare di “Montagna Veneta” ma bisognerebbe sempre parlare di “montagne” al plurale. Questo perché vi sono montagne abbandonate davvero, altre in cui esiste ancora un tessuto sociale e imprenditoriale attivo, e poi c’è la montagna del turismo di massa (quest’ultima corrisponde in Veneto alla zona delle Dolomiti Unesco, attorno a Cortina d’Ampezzo, ampiamente attrezzata e valorizzata). Ma le zone in abbandono sono estremamente fragili e vulnerabili.
“”Rigenera Montagna” è un progetto in collaborazione tra Fondazione Giovanni Angelini e Università di Padova, che si basa su un ruolo importante dei servizi ecosistemici – prosegue Laura Secco – all’interno dei quali ci sono anche tematiche molto importanti, che invece vengono spesso sottovalutate, quali la tutela del paesaggio, e tutta la tematica dei servizi ecosistemici culturali, di cui foreste e montagne possono essere un fornitore molto importante”.
Per analizzare lo status quo delle montagne venete bisogna necessariamente partire dal più catastrofico evento del recente passato: in due ore la tempesta Vaia ha distrutto nelle cinque regioni del Nord colpite la quantità di legname da sega pari a sette volte quella che viene abitualmente lavorata annualmente su tutto il territorio nazionale.
Ma i danni non sono limitati al legname (il cui prezzo è calato del 57%, per cui legno anche pregiato è stato destinato ad esportazione finalizzata al cippato), basti pensare che solo nel piccolissimo comune di Rocca Pietore si sono dovuti spendere tre milioni di euro per la costruzione di barriere indispensabili a evitare il crollo delle pareti di montagna prospicienti alle strade e alle case…, e nel Cansiglio i costi dei servizi di manutenzione del territorio (arrivati a 47 milioni di euro) sono già risultati superiori alle perdite economiche dovute alla distruzione del legno.
Ma cosa sta accadendo ora alla natura delle montagne venete in conseguenza a Vaia? Il Bostrico (Ips typographus) fa festa: dalle zone distrutte l’insetto ha sùbito proliferato anche su alberi strattonati dalla tempesta, sani, ma indeboliti, e quindi diventati appetibili per il parassita, e negli anni successivi l’insetto si è espanso anche in altre zone non colpite da Vaia con una stima del volume di legno distrutto dal Bostrico pari al 90% delle perdite dovute alla tempesta… e l’attività del parassita non si è certo fermata…
Ne consegue che gli alberi seccati in piedi, in quanto attaccati dal Bostrico, comportano l’aumento di problemi di carattere idrogeologico, ma anche epidemiologico a causa di insetti opportunisti di altre specie che approfittano della perdita di salute che ha colpito di tantissime piante.
Altro enorme problema è ovviamente quello determinato dal cambiamento climatico globale, per cui, il 25 gennaio, si sono dovuti portare dieci camion di neve nella storica piazza di Moena da cui parte la marcialonga, poiché in loco l’escursione termica 3-11 gradi centigradi non aveva consentito il permanere di nemmeno una chiazza di neve caduta precedentemente.
“Passando alle problematiche inerenti alla biodiversità e alla crisi ecologica (cui ad Arzerello ha accennato anche Filippo Moretto trattando dello stato di salute delle risorgive – si veda il seguito) – ha proseguito Laura Secco – bisogna rilevare che della crisi biodiversità non se ne parla abbastanza: sul territorio delle montagne venete ci sono ancora molte eccellenze abbastanza integre (almeno apparentemente), ma poco note e poco valorizzate, per esempio, nel Bellunese, vi sono prati periodicamente ricoperti di narcisi, luoghi ideali che ospitano annualmente una importante conferenza appunto su biodiversità e narcisi (si veda immagine a lato). Ma di tutti questi posti meravigliosi non abbiamo dati sistematici, che possano rivelare cosa in effetti sta succedendo per quanto riguarda la diffusione dell’entomofauna, quale sia lo stato di salute delle piante vascolari e del suolo, ma abbiamo tutte le ragioni per non rimanere tranquilli: basti consultare la tabella (si veda a latere) dove non si trova nemmeno un quadretto verde tra i parametri che indicano lo stato di salute della biodiversità”.
Passando alle zone rurali montane abbandonate si può osservare un importante fenomeno di rewilding: l’avanzamento bosco, comporta un notevole aumento di zecche infette e cinghiali, mentre il lupo, anch’esso in aumento, che potrebbe contenere il proliferare dei cinghiali, a vantaggio degli equilibri naturali, viene spesso preso di mira dai bracconieri…
Ma cosa fare in concreto di fronte a un quadro generale così preoccupante? Molto attiva nel Bellunese è la Fondazione Giovanni Angelini – Centro Studi sulla Montagna, che ha anche creato una piattaforma per coinvolgere cittadini, associazioni e aziende in progetti di ripristino e gestione sostenibile, alla quale rimandiamo per ulteriori informazioni: https://www.angelini-fondazione.it/contatti/ e, a Padova c’è Wownature: https://www.wownature.eu/en/
LO STATUS QUO DELLA PIANURA VENETA
RISORGIVE
Nel contesto della stessa serata, Filippo Moretto, responsabile del Cento studi di Anbi-Veneto (Associazione regionale dei consorzi di gestione e tutela del territorio e delle acque), ha illustrato l’importanza delle risorgive per il territorio Veneto, e i provvedimenti da attuare con urgenza per mantenerle attive anche in periodi siccitosi come quelli attuali.
Va innanzitutto sottolineato che senza una oculatissima gestione delle acque gran parte del territorio veneto, venendosi a trovare a livelli uguali o anche inferiori a quelli del mare, sarbebbe allagato, poiché l’acqua arriverebbe verso est fino alla città di Padova.
La pratica della reggimentazione delle acque in Veneto risale quindi all’antichità: sono noti importanti interventi medioevali, e altri successivi, ancor più incisivi, attuati per iniziativa della Serenissima, ma è nella seconda metà dell’800, che l’intero territorio nazionale, grazie all’energia elettrica può fare affidamento su pompe idrovore di notevole efficienza, bonificando completamente oltre che il Veneto, la Maremma e l’Agro Pontino.
La gestione delle acque in Veneto, infatti, è stata sempre una priorità, che ha favorito il raggiungimento di livelli di conoscenze notevoli nel campo della geologia e dell’ingegneria idraulica. Le emergenze acute degli ultimi anni richiedono però ulteriori azioni al fine di prevenire situazioni critiche, le quali, diversamente, con ogni probabilità, si ripeterebbero periodicamente.
“In particolare – ha sottolineato Moretto – è necessario non far morire le risorgive, molte delle quali sono oggi in sofferenza: gli ambienti di risorgiva infatti, offrono una vasta gamma di servizi ecosistemici, che vanno da quelli di Supporto (fornitura di habitat per molte specie animali, produzione di ossigeno e mantenimento del ciclo idrico); a quelli di Approvvigionamento (fornitura di acqua e di cibo); a quelli di Regolazione del clima e di purificazione dell’acqua dagli inquinanti; fino ad arrivare ai servizi Culturali di ricreazione (fruizione dell’ecoturismo, del valore estetico e del patrimonio culturale)”.
Ma se non sono più sufficienti le infiltrazioni d’acqua, che, a partire dai monti ragggiungono gli strati impermeabili del sottosuolo per far riemergere in pianura le risorgive come si può fare? Anbi Veneto sta provvedendo a costruire sistemi di prelevamento dell’acqua dai fiumi che attraversano il territorio regionale, provvedendo a canalizzarla nel sottosuolo a monte della fascia delle risorgive.
“Nella nostra regione – ha spiegato Moretto – sono stati sperimentati due diverse tipologie di interventi: le Aree Forestali di Infiltrazione (AFI) e la tecnica dei pozzi bevitori. La prima, è stata utilizzata soprattutto nel contesto del Brenta ed oggi si contano undici Aree forestali di infiltrazione, ovvero boschetti dotati di canalizzazioni disperdenti che facilitano l’infiltrazione dell’acqua nel sottosuolo sfruttando la naturale permeabilità dei suoli pedemontani. La seconda tipologia, più sviluppata nella parte del territorio vicentino ad ovest del fiume Astico, prevede l’utilizzo di cosiddetti “pozzi bevitori”, ovvero pozzi in falda dai quali anziché prelevare, si immette acqua nel sottosuolo (ad oggi sono attivi otto pozzi bevitori). Da segnalare che quelle interessate da queste soluzioni progettuali non sono aree sottratte alla produzione agricola o alla fruizione pubblica.
In particolare, le AFI si prestano molto bene ad una gestione produttiva di biomassa legnosa (ceduo a corta rotazione, ad esempio, di Paulownia tormentosa), in altri casi invece l’habitat così creato ha privilegiato gli aspetti di pubblica fruizione con la realizzazione di parchi.
Sono aree che sviluppano rapidamente un elevato valore ambientale, valorizzando gli aspetti agroecologici, e in molti casi garantendo nuova vita ad aree agricole prima marginali, ad esempio, per problemi di eccessivo drenaggio (proprio la qualità che serve invece per la realizzazione di progetti di ravvenamento della falda). Numerosi progetti finanziati con fondi regionali ed europei hanno ormai dimostrato la validità di questi approcci, sia per la quantità d’acqua infiltrabile (anche di un milione di metri cubi d’acqua per ettaro all’anno), sia per la capacità di miglioramento della qualità delle acque e fitodepurazione.
In tempi di cambiamento climatico è necessario far tesoro della risorsa idrica cercando di trattenere l’acqua che piove dal cielo in modo sempre più irregolare (lunghi periodi siccitosi alternati a piogge abbondantissime concentrate in poche ore), ed il sottosuolo pedemontano rappresenta l’invaso più grande disponibile. Nessun lago o invaso, infatti, potrà mai contenere una quantità d’acqua paragonabile a quella che è contenuta nelle falde. Parallelamente alla cosiddetta linea delle risorgive, è necessario costruire una nuova ed efficace “linea di aree di ricarica” che si estenda da ovest ad est lungo tutta la Regione e che consenta di far confluire stabilmente in falda importanti quantitativi di risorsa idrica”.