Quegli Argonauti dei sentieri del Baldo alla ricerca del vello povero
La lupa, allegoria dantesca simbolo della cupidigia (nonché, nella letteratura popolare, e nell’immaginario collettivo, archetipale predatore della pecora), verrà sconfitta dal Veltro.
Ma il Veltro ha rappresentato per secoli una sfida per i dantisti data la sua controversa esegetica. Una delle lezioni plausibili interpreta che i natali del Veltro ([…] sua nazion sarà tra feltro e feltro) fossero di umili condizioni, visto che il feltro era, ed è sempre stato considerato panno povero.
È quindi quantomeno curioso notare che il feltro diede origine al nome della splendida e ricca cittadina bellunese di Feltre, venendo qui ottenuto dalla tosatura e lavorazione della lana della transumante pecora Brentegana, il cui nome, per converso, deriva dalla sua patria originaria: Brentonico, luminoso paese collocato a quota 700 metri, sul versante tridentino del Monte Baldo.
Ecco che, allora, a entrambe le ipotesi interpretative dei commentatori dantisti (quella di un metaforico feltro, e l’altra di ipotetici natali collocati tra Feltre e Montefeltro), trasportando i riferimenti delle allegorie dantesche alla realtà contemporanea, se ne potrebbe aggiungere un’altra: la Brentegana è pecora… bensì umanata da un “viso” non meno semita di quello della celebre capra di Saba, ma sormontato da un fiero ciuffo, ed è un animale dalle dimensioni importanti… potrebbe allora valorosamente rappresentare il Veltro da contrapporre oggi a una moderna lupa, allegoria della società dei consumi, responsabile del degrado delle odierne abitudini alimentari?
Il copioso “vello aperto” della Brentegana (che ricorda un po’ quello del Lama), fornisce una lana considerata di modesta qualità, ma preziosissima nell’ambito dell’antica economia agricola e boschiva di montagna: il feltro che se ne ottiene, sarà anche il parente più povero del panno inglese, ma è altrettanto impermeabile, ed essendo prodotto in notevole spessore, è utilissimo per attutire i colpi causati da urti accidentali con rami, attrezzi vari, o cadute; tanto che mantelline dotate di cappuccio, di foggia identica all’originale medievale sono ancora in uso tra i contadini delle zone alpine e prealpine… mentre, nell’antichità, indossato come indumento intimo, proteggeva il centurione romano e il cavaliere medioevale, sia dalle lacerazioni che avrebbero subito in conseguenza del movimento delle pesanti armature, sia come efficace termoregolatore tra il metallo (gelido o bollente, a seconda del clima esterno) e le membra.
Ma perché stiamo celebrando tanto la pecora Brentegana? nonostante il suo aspetto e il suo valore si tratta(va) di animale in via di estinzione. Mettiamo solo per estrema prudenza tra parentesi la caratteristica temporale dell’imperfetto, poiché si sta ora facendo qualcosa di veramente importante per salvarla.
Il numero di capi di questa razza (che pur era quella maggiormente rappresentata sul Monte Baldo) si ridusse drasticamente negli ultimi decenni, poiché i pastori preferirono orientarsi all’allevamento della Biellese e della Bergamasca, considerate specie più produttive (quando gli stessi allevatori non decidevano di sostituire drasticamente le greggi di pecore con mandrie di bovini), e non ci si occupò più tanto di allevare in purezza la Brentegana, che venne così lasciata libera di riprodursi in condizioni panmittiche con altre razze ovine presenti nelle greggi.
Sopravvissero poche pecore con le caratteristiche (l’inconfondibile fenotipo era per fortuna stato immortalato da alcune fotografie, oggi di proprietà del comune di Brentonico), tipiche della Brentegana; caratteristiche che talora riemergevano tra i nuovi agnellini, dimostrando ottimi livelli di dominanza genetica relativa. Tuttavia nessun animale venne più censito come appartenente a tale razza. Non comparendo nei registri, nemmeno il volume “Le razze ovine autoctone del Veneto” edito nel 2005 da Veneto Agricoltura (Azienda regionale per i settori Agricolo, forestale e agroalimentare) le include nell’indice (lo stesso autore della pubblicazione le avrebbe comunque considerate erroneamente originarie solo di un piccolissimo territorio del Baldo in provincia di Verona, e ormai estinte).
Il fatto che nell’83 una ricognizione del Cnr orientata a individuare le pecore autoctone presenti sul territorio veneto, indicasse la Brentegana di origine esclusivamente veronese, e ufficialmente estinta, quando è invece storicamente stata molto presente anche in Trentino, ha fatto sì che non si stanziassero mai in nessuna delle due regioni interessate contributi finalizzati alla sua salvaguardia nel contesto dei Piani di sviluppo rurale a tutela biodiversità. Ma il programma regionale per il recupero e la salvaguardia delle razze ovine autoctone esiste, per cui, Massimo Veneri, appassionato e coraggioso allevatore di ovini, esperto di razze, ha invece deciso di tornare a riprodurre in purezza la Brentegana, scegliendo le pecore in cui il fenotipo della razza ricompare. Per dedicarsi al nuovo progetto in cui crede fermamente Veneri si è dimesso dalla carica di presidente dell’Associazione della pecora Brogna, di cui è storicamente allevatore.
“Si tratta di una razza imponente, e a rapida crescita, in quanto capace di raggiungere i quaranta chilogrammi di peso in pochi mesi, quando alle altre razze occorre almeno un anno – ha rilevato Veneri, in occasione del convegno dedicato alla pecora Brentegana, tenutosi a Brentonico l’otto aprile scorso. Non conosciamo più il sapore del latte e dei formaggi che il latte di tale razza ovina forniva, e nemmeno quello della sua carne, ma le straordinarie proprietà nutrizionali dei pascoli che l’animale ha sempre frequentato, e dove potrà, una volta reintrodotto, continuare a nutrirsi, possono a ben ragione far intuire, che, alle considerevoli caratteristiche somatiche di questa pecora autoctona, corrispondano altrettanto notevoli caratteristiche dei prodotti, che da essa si potranno ottenere”.
Riccardo Stevanoni, architetto organizzatore dell’evento, ha rilevato l’importanza di attrezzare le vie di transumanza di adeguata logistica: dovranno essere corridoi, che vanno dal Mincio al Monte Baldo, allestiti con ripari, casette per viandanti, turisti, pecore e pastori, e in tal senso è già stato avviato un programma tra il consorzio di Tutela e Promozione Valori Sic del Baldo e Due Rocche del Gardain, e la Pro Loco di Caprino Veronese (toponimo molto eloquente), dove si è già provveduto al recupero della Malga Zocchi, situata in un territorio che dal 1400, fino a pochi decenni fa è stato sede di pascoli di ovini.
Luciano Perfetti, cultore di medicina spagirica di origine parmense, al fine di portare un esempio emblematico, ha testimoniato la reintroduzione della vacca Bruna nei pascoli della zona di produzione tipica del Parmigiano, per ottenere un prodotto di nicchia di qualità superiore, la cui stagionatura potesse raggiungere caratteristiche di eccellenza: la Bruna produce infatti non più di venti litri di latte al giorno (a fronte dei sessanta della Frisona), ma della massima qualità, permettendo di ottenere un prodotto biologico dotato di una resa molto migliore sia sotto il profilo nutrizionale, sia per quanto riguarda il gusto, come in realtà dovrebbe sempre essere almeno per quanto riguarda il settore bio…
A questo proposito è l’Università di Verona (il cui Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento, è dotato di laboratori altamente specializzati – i quali ospitano anche apparecchiature per la risonanza magnetica orientata allo studio delle matrici e dei liquidi alimentari), che si è impegnata a studiare le proprietà nutrizionali dei prodotti che si otterranno dall’allevamento della Brentegana: la genuinità e l’utilità nutrizionale dei prodotti nostrani, organoletticamente percepita, deve nondimeno essere dimostrata nonché interamente e chiaramente specificata. Il dipartimento diretto da Andrea Sbarbati, infatti, fortemente orientato alla ricerca sul tessuto adiposo, alla bromatologia umana, e al gusto, da molto tempo prima che venisse ufficialmente chiesto agli atenei di occuparsi di territorio, ha instaurato un rapporto forte con le Pro Loco e le associazioni di volontariato, per le necessità di studio dei prodotti locali, e fornendo in cambio profondi elementi di conoscenza ormai indispensabili alla valorizzazione del territorio.
Un obbiettivo veramente importante la pecora Brentegana lo ha in ogni caso già raggiunto: il Monte Baldo, rappresenta una realtà unitaria dal punto di vista orografico, sulla quale sono situati cinque comuni in provincia di Trento, e nove in provincia di Verona, ma la distribuzione dell’allevamento di una razza di pecora non calcola certo la geografia politica… e ha favorito il dialogo tra le due province, proprio nel momento in cui ci si sta avviando la presentazione della domanda per il riconoscimento del Baldo come patrimonio dell’umanità. Il Baldo ha infatti tutte le prerogative per ottenere il prezioso riconoscimento, e relativa salvaguardia dell’Unesco, grazie alla sua unicità botanica, e alla continuità dello studio di tale scienza documentata dal 1400 fino ai giorni nostri.