Volpe sta con Flaubert: “non è la perla che fa la collana, ma il filo”…
“Ormai non c’è più nessuno che parli contro il contesto, tuttavia bisogna fare attenzione che la celebrazione dell’importanza del contesto intorno ai monumenti e ai reperti non diventi una di quelle formule magiche un po’ retoriche che vengono sempre enunciate, e assai poco praticate – ha rilevato Giuliano Volpe, nel corso della conferenza di presentazione del suo ultimo saggio <<Un patrimonio italiano>>, presso gli Spazi Bomben della Fondazione Benetton di Treviso -: ciò che è indispensabile oggi è una visione contestuale complessa, stratigrafica del palinsesto ambientale… mentre, delle stratigrafie complesse, ancora si continua spesso a cogliere solo i lembi, decontestualizzandoli, per azioni di conservazione e restauro mirate a trattare il monumento in modo avulso dalle sue relazioni d’intorno”.
Volpe ha ricordato poi che Giovanni Urbani (discepolo del grande Adolfo Venturi, al quale si deve il primo grande manuale scientifico della storia dell’arte – n.d.r.) già più di trent’anni fa, proprio mentre era direttore dell’Istituto centrale del restauro, fu il primo a schierarsi contro un certo modo di intendere il restauro. Infatti in passato, e fino ai giorni nostri, il pubblico è stato abituato a guardare all’opera da restaurare, come fosse una perla, un simbolo a se stante dei fasti del passato, di cui recuperare le vestigia intrise di eternità…
Ma <<ce n’est pas la perle qui fait le collier, c’est le fil>> (e si potrebbe aggiungere che una perla scalfita non àltera che l’armonia della collana, mentre un filo logoro ne pregiudica l’esistenza), ha infatti proseguito, citando Flaubert, il capo delle sopraintendenze nazionali, osservando che è quindi il momento di pensare a prevenire i grandi interventi di restauro, mediante un’attività continua di manutenzione ordinaria dei monumenti, e di organizzare una gestione programmata attraverso azioni quotidiane; di pensare cioè a un lavoro capillare che presuppone la conoscenza territorio, finalizzata a una opportuna pianificazione degli interventi, cose che necessariamente coinvolgono la partecipazione delle popolazioni locali.
“Ciò vale – sottolinea Volpe – anche per il paesaggio, laddove non si dovrà confondere pretestuosamente la locuzione <<tutela del paesaggio>> presente nell’articolo 9 della nostra Costituzione, con la ben più riduttiva <<tutela di pezzi di bel paesaggio>>: nella Convenzione europea sul paesaggio sono incluse le periferie degradate, le aree industriali, tutto quello che l’uomo fa nella trasformazione dello spazio, che rappresenta la nostra civiltà, e non basta fare la salvaguardia di un’isola, per salvare la coscienza, lasciando allo sfascio tutto il resto che viene dato per perso. Sono ovviamente necessari sacrifici e compromessi, la creazione di nuovi equilibri mediante la contemperazione degli interessi, che coinvolgono imprenditori, enti locali, cittadini: raggiungere l’obbiettivo dell’interesse condiviso può darsi che faccia perdere qualcosa, ma fa guadagnare tutti. Tutto questo è incluso nella riforma che ha riunito le vecchie sopraintendenze nel Mibact, riforma che a molti miei colleghi non piace, ma la società contemporanea non è certo più quella in cui la figura del <<sopraintendente-prefetto>> possa trovare una sua giustificazione… Mi riferisco alla psicoanalisi di Massimo Recalcati, nel richiamare emblematicamente le figure di Edipo Narciso e Telemaco, per individuare tre versioni tipiche di docenti: la tragedia di Edipo evoca la figura del professore non criticabile, vecchio stile; il docente-Narciso è quello che tenta di compiacere gli alunni imitandone gli atteggiamenti, per venire facilmente accettato; mentre il Telemaco corrisponde alla figura più consapevole del docente, o dirigente, che si riguadagna con autorevolezza il proprio ruolo mediante il colloquio e il confronto. La nostra riforma fallirebbe, se d’ora in poi non potessimo basarci su sopraintendenti animati da un nuovo spirito, mediante il quale dare forza a progetti condivisi di qualità, indirizzati e sostenuti in seguito a una corretta valutazione. In sostanza, per riprendere le parole del musicista Filippo Del Corno, assessore alla cultura del comune di Milano, è oggi più che mai necessario alzare la platea senza abbassare il palco. Così abbiamo anche messo al bando per le onlus una serie di monumenti fermi, perché non si è mai riusciti a gestirli, ma, beninteso, il no-profit non deve essere solo volontariato, bensì occasione per dare lavoro vero a professionisti: il volontariato non deve essere sostitutivo, ma complementare, e di supporto al lavoro degli specialisti”.
Gli intenti programmatici della riforma, la quale, di fatto, ha già consentito di superare a monte tutte le controversie che prima potevano insorgere tra soprintendenze distinte (per problematiche inerenti alla priorità degli interventi di tutela in cantieri allestiti per opere di consolidamento e restauro), ora riunite in un unico organismo, sono illustrati in modo accattivante, quanto impeccabilmente scientifico nell’ultimo saggio di Giuliano Volpe. Nella seconda parte del libro vengono poi descritti numerosi esempi di iniziative di successo della sperimentazione già in atto, le cui punte di eccellenza sono individuate nel museo egizio di Torino (la collezione è dello stato ma gestita da una fondazione), così come a Ravenna e ad Aquileia. La Convenzione di Faro sul valore dell’eredità culturale per la società, ha ampiamente ispirato la riforma di Giuliano Volpe, che la traduce in applicazione concreta.