“Elogio della fuga” e altri due libri che tutti oggi dovrebbero leggere (soprattutto i giovani)
Recentemente, Desmond Morris, scienziato della Zoologia, nonché autore anche dell’importante opera illustrata “L’uomo e i suoi gesti”, ha riaffidato tale e quale ai tipi dell’editrice Bompiani, dopo ben cinquant’anni dalla prima edizione, il suo saggio “La scimmia nuda”, testo divulgativo, che, nel secolo scorso, è stato tra i best sellers maggiormente letti e apprezzati dal pubblico e dagli scienziati più lungimiranti e aperti all’interdisciplinarietà.
Morris ha avuto un’eccellente idea a riproporre una nuova edizione di tale opera, non solo perché non si perdesse memoria del suo rivoluzionario quanto scientificamente rigoroso e centratissimo punto di vista, ma perché il libro è attualissimo, interessantissimo, e divertentissimo ancora oggi.
Altrettanto si può dire, tra i saggi dello stesso genere, di altri due libri che meritano di essere ricordati e riproposti: “Perché alle zebre non viene l’ulcera? – La più istruttiva e divertente guida allo stress e alle malattie che produce. Con tutte le soluzioni per vincerlo” del neuroscienziato Robert M. Sapolsky, e “Elogio alla fuga”, del biologo e filosofo francese Henri Laborit, da cui è stato tratto anche il film “Mon oncle d’Amerique”, diretto da Alain Resnais, e vincitore nel 1980 delGrand Prix Speciale della Giuria al 33º Festival di Cannes.
Quest’ultimo titolo colpisce subito se si pensa che fin da bambini si cerca di di fuggire dalla vita quotidiana mediante l’immaginazione… E’ così infatti che si possono iniziare ad affrontare, simulandole, nuove esperienze, che allargano gli orizzonti e preparano ad affrontare la vita futura.
Ma, anche successivamente, da adulti, quando non è possibile “prendere il volo” fisicamente, lo si può sempre fare con la mente, leggendo ed immaginandosi in un altro universo, dove avvengano cose completamente diverse e al di fuori della cosiddetta normalità.
In questo libro Laborit, “padre” della Biopsicologia, espone il suo pensiero originale su temi essenziali per l’essere umano, molto diversi tra loro, ma accomunati dal concetto di “fuga”. Quelli che colpiscono maggiormente sono l’amore, la morte e la riflessione finale sul ricominciare da capo.
Dell’amore Laborit offre una definizione totalmente diversa rispetto a quella a cui si è abituati fin dall’infanzia. Lo descrive cioè come un qualcosa che provoca la dipendenza del nostro sistema nervoso dalla gratificazione che produce la presenza di un’altra persona nel nostro “spazio”. L’amore umano è una menzogna biologica, un’illusione, una strategia della natura, magìa che talora fa perdonare ed accettare tutto… anche l’inaccettabile; è desiderio di continuare ad avere quella gratificazione, mentre può, altre volte, quando accompagnato da puro egoismo, favorire l’insorgere un senso di possesso molto pericoloso.
Nel leggere tale concetto di amore, la prima reazione di una serena ragazza adolescente, che giustamente si attende dall’amore nient’altro che attenzioni e dolcezze da ricambiare generosamente, può essere di perplessità. Ma proprio i tremendi fatti di cronaca inerenti ai femminicidi di questi giorni dimostrano quanto alla mancanza di una sufficiente cultura (intendendo il termine nella sua più nobile accezione di umanità), possa corrispondere il comportamento violento di individui, che, in luogo di interpretare l’amore come massima espressione di empatia, dedizione e altruismo, hanno scelto di distorcere tale sentimento in versione esclusivamente autoreferenziale, solipsistica, egotica e quindi gravemente pericolosa.
Nel capitolo dedicato alla morte è indubbiamente molto toccante l’idea di far coincidere la nostra morte con quella degli altri, soffermandosi sulla sofferenza della perdita di una persona per realizzare che il dolore non nobilita: non serve a nulla, se non ad isolare le persone. Ciò che è importante è invece trovare nel sentimento della perdita una propria catarsi, interiorizzando l’eredità di valori umani che la persona scomparsa può continuare a trasmettere mediante il suo ricordo. Sentimento che deve farci quindi riflettere su quali valori veramente importanti saremo in grado di lasciare a chi ci è stato maggiormente vicino durante la nostra esistenza.
Non non si può infatti non ricordare una delle frasi di fine capitolo da cui si evince come noi possiamo morire da eroi o da vigliacchi, a seconda del nostro ideale di vita, a seconda di come vorremmo riapparire, nella mente di chi ci sopravivrà.
Nel capitolo “ricominciare da capo”, desiderio comune a moltissimi esseri umani, l’autore esprime il concetto di unicità di ogni esperienza umana, sottolineando che, rivivendo la vita, verrebbero fatte scelte diverse, non perché si potrebbe avere maggiore libertà di scelta, ma perché diverse sarebbero le circostanze di spazio e di tempo in cui ci si troverebbe a vivere, in quanto, alla fin dei conti, le decisioni sono determinate da una serie di fattori casuali e interdipendenti, e quindi irripetibili…
Nel pensiero di Laborit si può pertanto trovare una risposta che tranquillizza quanti non riescono a perdonarsi certi loro errori, determinati da emozioni che si provavano in un determinato momento.
Proprio tali supposti “errori” possono, al contrario, essere di supporto ad apprendere dall’esperienza, se, invece di generare sensi di colpa e di rifiuto, diventano base di serena e oggettiva riflessione.
Il libro è quindi perfetto per incoraggiare tutti coloro che cercano magari solo con la fantasia una via di fuga, ma che non hanno il coraggio di lasciare i porti sicuri della loro comfort zone, che spesso rappresenta un limite all’espressione delle umane doti e potenzialità che ogni essere umano deve essere libero di realizzare per il proprio equilibrio psico-fisico, pena il serio rischio di ammalarsi gravemente in caso contrario.
Solo mediante il coraggio di guardare dentro di sé in modo distaccato e forniti delle giuste chiavi di lettura, si possono infatti trovare nuovi punti di vista su questioni importanti, e soluzioni che non si era mai riusciti prima a pensare, e che possono invece dare la forza di prendere il mare aperto, o, per lo meno, di continuare a sognare trovando in altri pensieri, o eventuali altre attività, la possibilità di sopravvivere, realizzandosi più serenamente.