Una patente per la pubblicità etica e aletica*
Meno di cento anni fa (fino agli anni ’30 del ‘900) nel Nord America e nel Regno Unito veniva pubblicizzato (si veda l’immagine in apertura) uno sciroppo a base di morfina, che si somministrava tranquillamente a partire dai sei mesi di vita. Ma, una sola goccia di tale “Mrs Winslow’s Soothing Syruph” (il nome conteneva quello di un’infermiera pediatrica inglese), considerato una vera e propria panacea per ogni tipo di dolore, era potenzialmente letale per i bambini, tanto che il farmaco venne ben presto ribattezzato sciroppo “baby killer”.
Eppure nel 1912 all’Aia era stata firmata la “Convenzione internazionale dell’Oppio”(aggiornata a Ginevra nel 1925) in cui si stabilivano rigidi ostacoli e regole per la vendita e il consumo degli oppiacei.
Da allora la regolamentazione delle sostanze potenzialmente tossiche o cancerogene contenute nei medicinali e nei cibi in commercio ha fatto molti passi avanti, anche se lentamente, e anche se le agenzie come la FDA (Food and Drug Administration), e l’EFSA (European Food Safety Authority) potrebbero fare ancora meglio, poiché molte sostanze pericolose per l’uomo, per la fauna e per l’ambiente sono ancora autorizzate e presenti soprattutto nei fitofarmaci, negli alimenti, e in molti antri prodotti industriali.
Tuttavia, in questo articolo non si affronta il tema della salute mediante un’analisi o un’inchiesta a riguardo dei molti temi ancora irrisolti per garantire cibi veramente sani o farmaci il più possibile innocui, bensì si prende in esame il problema della comunicazione commerciale sotto il profilo morale a tutto campo, ovvero individuando quali procedure e strumenti siano necessari per garantire che un annuncio pubblicitario, nella sua globalità (pay-off) sia tecnicamente ineccepibile sotto l’aspetto dell’eticità, della trasparenza e della verdicità, a tutela di quanti desiderino proteggere se stessi e l’ecosistema dalle insidie di componenti dannosi ancora presenti in moltissimi prodotti.
Oggi finalmente si può fare grazie a realtà come Ethics-Go https://www.ethicsgo.com/, un’agenzia certificata da Accredia (l’Ente Unico nazionale di accreditamento designato dal governo italiano, in applicazione del Regolamento europeo 765/2008, ad attestare la competenza e l’imparzialità degli organismi di certificazione, ispezione, verifica e validazione, e dei laboratori di prova e taratura).
Ovvero Ethics-Go è autorizzata a fornire i marchi CertiClaim®, EthicsGO® attestando l’ammissibilità, la conformità, la veridicità, l’eticità e la sostenibilità della comunicazione, in seguito a verifica e validazione di caratteristiche delle imprese, dei loro prodotti e servizi, e dell’ambiente in cui operano, secondo severi parametri dettati dalle leggi dello stato e da regolamenti comunitari recepiti in ambito nazionale.
“E’ per contrastare la tendenza a diffondere messaggi che vìolano la tutela del mercato e la correttezza nei confronti dei consumatori (per dare l’idea dell’entità del fenomeno l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha assegnato sanzioni relative a pratiche scorrette per 72.135.700 euro, e a pratiche inottemperanti per 16.270.000 euro – si veda l’articolo di Giovanni Caprara su “Il Corriere della Sera – Pianeta 2030” del 27-07-’23) che ho fondato a Verona nel 2005 “Ethics-Go”, società che accerta la sostenibilità di prodotti che riguardano il cibo, , l’abbigliamento, la cosmesi, l’economia, la finanza, e il marketing in ogni settore” rileva Giuseppe Patat.
Tale servizio, fornendo alle imprese un reale vantaggio competitivo, garantisce al contempo ai consumatori la corrispondenza tecnico-scientifica tra il contenuti dei prodotti e dei servizi offerti e quanto dichiarato e affermato nella pubblicità.
Lo schema di verifica e validazione è rappresentato dagli Alberi della Comunicazione Etica e Sostenibile che contengono i parametri di prodotto / servizio, sistema / processo e mercato vantabili o vantati da un claim. Gli Alberi rispecchiano gli indicatori dell’Agenda ONU 2030 (Economico, Sociale e Ambientale), per 60 paesi destinatari, 35 lingue, 13 aree e 159 forme di comunicazione e 10 media.
La “Bibbia” da seguire per certificare “asserzioni etiche” è la Specifica tecnica UNI-ISO 17033 dell’agosto 2019, che contiene i principi e i requisiti per “Ethical Claims“. Tale documento stabilisce che il principio della sostenibilità riguarda l’ambiente, quanto la giustizia economica e sociale, quanto il benessere animale, regolamenta concretamente (eventualmente in accordo con i programmi specifici delle entità operative) le azioni che i fabbricanti, i distributori, e chiunque possa beneficiare della certificazione etica, debbono operare pe ottenerla.
E la certificazione verrà concessa non solo se la dichiarazione sarà veritiera, ma se anche il simbolo e la grafica seguiranno princìpi adeguati a trasmettere il messaggio visivo in modo non fuorviante, non equivoco, e sostanzialmente adeguato ed equilibrato. La dichiarazione deve invece contenere informazioni riguardanti il ciclo di vita del prodotto, l’asserzione comparativa (rispetto a prodotti precedenti o non certificati), e tutti i dati di supporto necessari.
Oltre a dimostrare i requisiti necessari alla certificazione, le entità operative aziendali devono inoltre dimostrare di seguire i princìpi definiti dalla UNI-ISO 17033: – affidabilità, dimostrando di continuare a meritare nel tempo fiducia; – trasparenza, producendo con tempestività informazioni trasparenti; – pertinenza, dimostrando sempre adeguata conoscenza scientifica e delle buone prassi; – coinvolgimento degli stakeholders, dimostrando di collaborare con i Paesi in via di sviluppo; – equità, dimostrando di agire abbattendo il più possibile l’eventuale impatto negativo del proprio operato sulle future generazioni, sul territorio, su gruppi sociali.
Infatti una volta concessa la certificazione, è previsto un riesame ogni triennio, per poterla conservare.
E, se protocolli, certificazioni e controlli inerenti al mercato “bio” continuano a lasciare molti dubbi e a sollevare molte perplessità, non si può certo dire altrettanto per le Prassi di riferimento che, nel 2021 (102/2021), hanno recepito il documento europeo 1025 del 2012, definendo puntualmente i requisiti per le asserzioni etiche di sostenibilità, in merito a prodotto, servizio, processo e organizzazione, analizzando le tre dimensioni economica, sociale e ambientale, rendendo omogenei i programmi da usare per la verifica e la validazione, e prevedendo la necessità di un miglioramento continuo secondo il principio della materialità (intesa come impatto sulla sostenibilità esercitato tanto dall’organizzazione aziendale, quanto da tutti gli stakeholders coinvolti).
Per dare un’idea di quanti aspetti vengono posti sotto la lente d’ingrandimento al finde di poterne dimostrare l’eticità e il continuo miglioramento, utile anche a indurre una moralizzazione dell’intero mercato, le asserzioni vengono analizzate in merito all’accuratezza; alla verificabilità; alla pertinenza; e non devono assolutamente far insorgere neanche minimamente il dubbio di essere fuorvianti, il tutto al fine di ridurre la confusione sul mercato, di favorire il commercio anche a livello internazionale, di poter ottenere il riconoscimento bancario/finanziario, di stimolare il miglioramento continuo e indurre la riduzione della quantità di asserzioni non garantite, e perfino di supportare il legislatore.
In particolare si sorveglia che, per ottenere la certificazione, non vengano evitate tematiche scomode secondo la cattiva prassi del “cherry picking” (selezione degli argomenti maggiormente vantaggiosi, trascurando quelli scomodi), e che non siano state adottate misure che abbiano comportato un “sustainable washing“.
Andranno anche dichiarati gli SDGs (Sustainable Development Goals) in termini di maggior impatto proficuo e diminuzione dell’impatto negativo che la catena di fornitura, il ciclo di vita del prodotto, e il contesto dell’organizzazione consentono. Gli SDGs, ovviamente, saranno periodicamente controllati secondo programma.
Le aziende dovranno anche impegnarsi a seguire un continuo miglioramento, e a non agire mai nel presente o in futuro secondo princìpi non conformi all’eticità, neanche per quanto riguarda altri prodotti o servizi non certificati, pena il ritiro dei marchi concessi.
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* Veritiera, dal greco antico ἀλήθεια (alétheia, verità).