E’ AL POLO UNIVERSITARIO DI MESTRE IL LABORATORIO CHE PRESERVA IL PATRIMONIO ARTISTICO E ARCHITETTONICO DI VENEZIA

Che facoltà scegliere per essere sicuri che, conseguita la laurea, si andrà a svolgere una professione bella (per non dire entusiasmante), e oggi più che mai necessaria e richiesta? Il Corso di Laurea Magistrale in Conservation Science and Technology for Cultural Heritage dell’Università di Venezia (mediante il quale si diventa Scienziati conservatori) può essere la risposta illuminante a tale dilemma.

Immagine di apertura: un dipinto veneziano del ‘500 notevolmente deteriorato a disposizione dei ricercatori del laboratorio per essere analizzato

Basti pensare che all’estero ogni museo dispone in organico di tale figura scientifica, e, paradossalmente, in Italia non è così. Quindi, nel nostro paese, la richiesta di scienziati conservatori, dato l’immenso patrimonio artistico da custodire, preservare, curare, potrebbe essere altissima.

Altro paradosso consiste nel fatto che nell’immaginario collettivo la figura del conservatore di opere d’arte è ben poco conosciuta, e, quando lo è, non si sa bene che ruolo abbia, nonché viene spesso confusa con la tradizionale figura del restauratore… oggi, invece, alla luce delle più corrette impostazioni scientifiche condivise tra gli esperti del settore, pare proprio che non si debba più ricorrere a restauri, attuando secondo le pratiche del passato; si devono piuttosto studiare minuziosamente i materiali che costituiscono le opere d’arte in funzione della messa a punto di azioni migliorative quanto più conservative possibile.

Se, infatti, è vero che, quando si parla di opere d’arte che hanno subìto gli insulti del tempo o di atti vandalici, è spontaneo pensare che sia necessario intervenire per ripristinare le condizioni in cui l’opera si trovava inizialmente, è altrettanto vero che servirebbe qualche sorta di veggenza per arrivare a intuire perfettamente la facies originale dell’opera d’arte, tanto da poterne ripristinare le condizioni native…

Peraltro, per quanto riguarda le opere d’arte del passato, dato il loro valore, che ne ha favorito la permanenza attraverso i secoli, unitamente all’evidenza della loro datazione, esse fungono da testimonianze storiche materiali delle vicende alle quali hanno assistito, essendo state, non di rado, trasfigurate da avvenimenti ai quali è possibile risalire. A rigori, quindi, il rispetto dell’arte, quanto della storia, implica anche il rispetto di eventuali segni che le opere d’arte giunte fino a noi mostrano in conseguenza di circostanze diverse da quelle della loro generazione. Trasfigurazioni, insomma, che parlano della storia dei luoghi in cui le opere si trovavano.

Analisi al microscopio per verificare l’adesione tra intonaco e vernici

Ma ecco cosa oggi si può (anzi, si deve) fare se si vuole che le opere d’arte mantengano, a partire dal momento attuale, sempre il più a lungo possibile le loro condizioni originarie. È appunto necessario che uno scienziato conservatore, figura professionale dotata di una cultura interdisciplinare di prim’ordine, abbia disposto, per ogni singola opera quali protezioni chimico-fisiche, ambienti, monitoraggi, siano necessari per preservarla in toto.

In altre parole, uno scienziato conservatore deve avere competenze e sensibilità unitamente a una certa expertise artistica, e, soprattutto, sia dotato di ottime conoscenze chimiche che gli consentano di inquisire in laboratorio, o, con adeguata strumentazione, sul campo, le proprietà materiche delle opere d’arte, e dei loro supporti.

A seconda che si tratti di tele, di intonaci, tessere di mosaico, beni archeologici, strutture architettoniche di varie epoche del passato, o di opere contemporanee, bisognerà infatti saper scegliere i dispositivi di protezione, efficaci contro il trascorrere del tempo, gli insulti atmosferici, e idonei a vanificare eventuali atti vandalici. Materiali e dispositivi che spesso sono già disponibili, ma che possono essere modificati nella loro composizione per venire adattati a ogni singola esigenza. Ma può anche capitare di dover sintetizzare ex novo opportuni materiali protettivi. Ciò, naturalmente, con l’assoluto presupposto che, applicata la protezione, rimanga perfettamente inalterata la purezza del valore estetico e semantico espresso dalla poiesis degli originali, la cui evidenza è attualmente manifesta.

Esercizi di pittura eseguiti dai ricercatori, al fine di testare colori e materiali di supporto

La cultura nasce con la facoltà di comunicare, e la comunicazione è da millenni il collante della civiltà umana. Nella propria radice il termine comunicazione conserva la semantica del dono (lt. munus), altro termine di rilevanza antropologica primaria… Il dono che viene condiviso mediante la comunicazione è pertanto costituito dai valori umani espressi nell’atto del comunicare – come ha voluto ricordare Caterina Carpinato, Prorettrice alla terza missione dell’Università di Venezia. Il pregio dell’arte è pertanto considerato sempre altissimo, e talora inestimabile, in quanto le opere d’arte, oltre a essere uniche, contengono ed esprimono in sintesi i valori umani della più elevata nobiltà.

Lo scienziato conservatore ne è naturalmente ben consapevole, e questa è la garanzia che egli è formato per poter pensare e realizzare le soluzioni ideali per proteggerle senza minimamente alterare la purezza del munus che esse emanano. E’ lui che è infatti dotato della cultura e sensibilità necessarie per avvertire ciò che le opere d’arte esprimono, e una ineffabile compensazione morale del suo lavoro gli deriva anche dal fatto di poterle avvicinare quanto nessun altro, ottenendo così da tale prossemica emozioni incomparabili.

Uno scorcio dei laboratori

Ma, in sostanza, cosa fa lo scienziato conservatore? prima di tutto deve capire quali siano le emergenze ambientali che minacciano le opere d’arte, per dare indicazioni sui processi di trasformazione dei materiali, cioè indicando in quanto tempo i beni subiranno trasformazioni irreversibili. Quando poi propone nuovi metodi deve tenere in considerazione anche la necessità di rispettare l’ambiente… diversamente da quanto avveniva in passato, quando, per proteggere le superfici dei beni architettonici si utilizzavano mateeriali poco ecologici. Oggi si devono infatti preferire metodologie magari caratterizzati da una durata di vita inferiore, ma di minor impatto ambientale e, possibilmente, più economici. Si tratta di un lavoro di ricerca complesso, e allora si rende anche necessario uscire dai propri laboratori per cercare il continuo confronto con la realtà e con gli esperti delle altre aree disciplinari al fine di raggiungere di volta in volta il risultato ideale.

“Abbiamo un laboratorio – rivela a ScienzaVeneto la professoressa Elisabetta Zendri, ordinaria di Scienze della Conservazione dei beni culturali presso l’Università di Venezia – in cui si studia per esempio il comportamento di protettivi da applicare per la conservazione della “street art” per proteggerla non solo dalle intemperie, ma anche da eventuali atti vandalici nel contesto del Progetto di rilevante interesse nazionale SUPERSTAR (Sustainable Preservation Strategies for Street Art) coordinato dall’Università di Pisa a cui collabora la professoressa Francesca Izzo (DAIS-Università di Venezia); ma ci si occupa anche della realizzazione di nuovi materiali per l’intervento di conservazione con caratteristiche di compatibilità, per esempio ora stiamo studiando degli intonaci in grado di resistere all’ambiente salino, ovvero stiamo testando degli impasti aggiungendo materiali appunto ecosostenibili. (Si veda l’immagine in questo paragrafo).

I risultati vengono poi testati sia su tradizionali malte di calce, sia su impasti con leganti idraulici tipo cemento, mediante una certa procedura scientifica e particolari parametri di nostro esclusivo know-how. Successivamente, altri test vengono eseguiti in laboratorio su microcampioni di murature storiche che possono essere sottoposti anche a procedure di invecchiamento accelerato. Ma poi bisogna osservare come cambiano i risultati aumentando il livello di interazione, per esempio stendendo il preparato su dei mesocampioni: prima un mattone, e poi muretti di prova. Infine, in situ, otteniamo un quarto livello di interazione… che finalmente garantisce la bontà del risultato. Ogni nuova ricerca richiede almeno un paio d’anni di lavoro”.

La professoressa Elisabetta Zendri

Ma presso i laboratori diretti dalla professoressa Zendri c’è anche un’altra sezione provvista della più moderna strumentazione utile a studiare i materiali dell’arte pittorica, sia tradizionale, sia contemporanea, per la caratterizzazione e l’osservazione dello stato di conservazione dei materiali e il loro comportamento fisico… è infatti il comportamento dinamico-meccanico osservato in corrispondenza dei cambiamenti di temperatura che fornisce dati interessanti.

Ma ci sono anche preziosissimi strumenti portatili non invasivi a risposta immediata acquisiti dal Comune di Venezia che grazie al Patto per la Città di Venezia sono stati dati in uso all’Università Ca’ Foscari quali lo spettroscopio per rilevare l’effetto di scattering Raman (dal nome dello scopritore Chandrasekhara Venkata Raman – Nobel per la fisica nel 1930), basato sul fenomeno di diffusione di una radiazione elettromagnetica monocromatica da parte del campione analizzato, in grado di fornire una sorta di impronta digitale specifica per ogni molecola; e un altro strumento per la spettroscopia infrarossa, indispensabile per individuare le caratteristiche chimiche dei materiali e la presenza di sostanze derivanti dal loro degrado.

Foto della sezione stratigrafica di un microcampione prelevato da un dipinto di arte contemporanea


“Gli spettri – rileva Elisabetta Zendri – vengono interpretati conoscendo i materiali che sono stati usati nell’arte, e, se si osservano delle trasformazioni, attraverso la letteratura scientifica si può arrivare a conoscere quali sono le trasformazioni maggiormente comuni che i materiali allo studio possono subire”.

Infine, ci sono microscopi per analizzare i wafer che si sono ottenuti sezionando parti di muratura per studiare il comportamento dei diversi materiali sovrapposti, successivamente ad aver subito alterazioni: tale esame stratigrafico è il primo tipo di indagine che si può compiere per studiare anche il grado di adesione tra uno strato e l’altro. Si tratta di un’analisi puramente morfologica e visiva che necessita successivamente di analisi chimica.

“Presso i nostri laboratori ci sono quindi ricercatori che sono specializzati in campi molto diversi: a partire dal cemento si arriva ai supporti cartacei e tessili, passando dal monitoraggio ambientale. Un’equipe quasi completamente al femminile – precisa la professoressa Zendri”.

Terminati gli studi al Corso di Laurea Magistrale in Conservation Science and Technology for Cultural Heritage dell’Università di Venezia, i nuovi scienziati conservatori che intraprenderanno la libera professione potranno anche utilizzare la strumentazione dei laboratori accademici per svolgere il loro lavoro.

La dottoressa Laura Falchi accanto a immagini al microscopio riprodotte in forma digitalizzata, per analizzare l’adesione tra supporti e vernici

Nelle figure qui sotto:

1 – la parte superiore dell’immagine riproduce un intonaco tradizionale, al di sotto del quale si osserva un intonaco marmorino. Si tratta di una finitura tradizionale veneziana con legante fatto a base di calce aerea per ottenere superfici lisce e chiare;

2 – la stessa stratigrafia consente di studiare il comportamento dello strato di colore di un dipinto contemporaneo dopo averne sottoposto una piccolissima porzione a cicli di invecchiamento. Infatti il recente impiego in pittura di colori miscelati con leganti polimerici, contrariamente a quanto si pensava, non sempre garantisce una buona resistenza alla prova del tempo).

(Tutte le immagini di questo articolo sono state realizzate da ScienzaVeneto.it, ad eccezione della Foto della sezione stratigrafica di un microcampione prelevato da un dipinto di arte contemporanea realizzata dall’Università di Venezia)

Riccardo Panigada

Direttore responsabile:

Negli anni '80, mentre è ricercatore nel campo della bioingegneria, pone le basi per la teoria dell'Onfene (Manzotti-Tagliasco), e collabora a diverse testate tra cui «Il Sole 24 Ore», «Il Corriere Medico», «Brain», «Watt». È giornalista professionista, membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis), e la sua originalità è quella di filtrare la divulgazione scientifica attraverso la riflessione epistemologica. E' inoltre docente di Filosofia e Scienze Umane nei licei.

Ha pubblicato: Il percorso dei sensi e la storia dell’arte (Swan, 2012); Le neuroscienze all'origine delle scienze umane (Cleup, 2016).

Attualmente sta lavorando a un nuovo saggio in tema di Psicologia cognitiva alla luce delle neuroscienze.

Dirige anche Tempo e Arte (tempoearte.it).